di Bianca Dal Molin
Continua da LA SPINTA, periodico di Allea
Tempo addietro, un amico milanese mi aveva chiesto se io avessi notizie di una famiglia Tedeschi, perché una sua conoscente, saputo che aveva acquistato casa ad Angera, gli aveva raccontato di essere stata nascosta insieme alla sorella, nel settembre del 1943, da un certo Tedeschi e le sarebbe piaciuto ringraziare o lui o i suoi discendenti. Questa signora si chiamava Rebecca Behar!
Nel momento in cui Antonio mi aveva posto questa domanda io non sapevo dell’esistenza della barca e conoscevo in modo superficiale la terribile storia dell’Hotel Meina, ma d’improvviso ho capito che avrei potuto collegare Gianni Tedeschi, Becky (Rachel) e Rebecca Behar, figlie del proprietario dell’Hotel, tragico teatro dell’efferata strage di ebrei del 22-23 settembre 1943 e, presumibilmente, I diritti dell’uomo!
Nei giorni successivo l’8 settembre del ‘43, per gli ebrei in fuga dai nazisti, l’unica possibilità di arrivare senza troppi rischi da Meina ad Angera era attraverso il lago, essendo la strada del Sempione pattugliata da uomini e mezzi delle SS e i Diritti dell’Uomo era piccola, agile e veloce, Gianni magrissimo e Becky aveva 14 anni e la sorella pochi di più e non occupavano certo molto spazio. Giulio Tedeschi, figlio di Gianni, mi ha confermato che suo padre aveva molti amici a Meina e che vi si recava spesso in barca.
Nel diario di Becky Behar si legge che durante la fuga trovò riparo per una notte ad Angera (e la certezza che fossero a casa Tedeschi l’abbiamo avuta dalle parole di Rebecca) e che il giorno dopo, in bicicletta, insieme alla sorella, raggiunse Varese e da là, solo a novembre, la Svizzera.
I 16 ospiti ebrei dell’hotel furono torturati e uccisi tutti (così come altri 38 ebrei di Meina che non riuscirono a fuggire), compresi vecchi e bambini e i Behar, di cittadinanza turca (la Turchia era allora neutrale), in un primo momento sembrò si potessero salvare grazie all’aiuto del console turco che era a Meina sfollato da Milano, in una casa di loro proprietà. Uscita di nascosto dall’Hotel, Becky vide i cadaveri sfigurati dei suoi amici e dei loro parenti che galleggiavano in riva al lago e ne fu sconvolta. Fu poi il console a convincere la famiglia a fuggire perché era imminente la loro cattura.
Quando ho riferito telefonicamente a Rossana Ottolenghi, figlia di Becky e memoria storica di quegli eventi, la “mia ipotesi” circa la traversata del lago a bordo de I diritti dell’uomo di sua madre e sua zia, lei non è stata in grado di dirmi con esattezza come le due ragazze fossero arrivate ad Angera e ha dovuto riconoscere che la mia era una storia “plausibile”.
I protagonisti di quegli eventi oggi non ci sono più e non sono in grado di smentire o di confermare quanto io vorrei che fosse vero. Va comunque onorato il coraggio di Gianni Tedeschi, che a rischio della vita ha data rifugio in casa sua a due ebree fuggiasche. In quelle notti di fine settembre del ’43 altre famiglie ebree, sfollate da Milano nelle ville sulla sponda piemontese del lago, avvertite da amici pietosi del pericolo imminente, riuscirono a salvarsi fuggendo in barca o motoscafo (a volte persino in camicia da notte) e una volta attraversato il lago, sulla riva lombarda tra Ranco e Angera, raccontano di aver faticato non poco a trovare qualcuno disposto ad aprire loro la porta di casa.
Comunque sia andata, io voglio credere che I diritti dell’uomo possa essere stata protagonista di un’avventura che avrebbe onorato il suo nome!